Non voglio una Cassie
Del lasciare andare le fantasie di vendetta e le aspettative su come dovrebbero comportarsi una vittima di violenza e chiunque le stia intorno.
Trigger Warning: violenza sessuale, abusi, suicidio (duh).
Circa un anno fa raccontavo, per la prima volta in maniera così dettagliata e pubblica, il mio incontro con il lupo. Sono passati moltissimi anni, ma quel lupo è vivo e vegeto, lo vedo aggirarsi tra i boschi. So che ogni tanto sferra un attacco, anche se mi pare meno intenso di quello alla me bambina. Forse perché la distanza (fisica, emotiva e mentale) smussa i confini. Gli alberi hanno continuato a crescere, le ombre si stagliano sempre più lunghe e alcune cose, da qui, sono difficili da vedere.
Però rimane la cicatrice. Rimane la vergogna di non aver capito per tanto, tanto tempo, cosa fosse realmente successo. Cosa stesse succedendo, una progressione di sfioramenti, sguardi, frasi, gesti, regali. Vergogna di non aver detto no, anche se ero solo una bambina, vergogna di aver continuato a non dire no per molti anni ancora, vergogna di non riuscire a dire no neanche adesso. Di non riuscire a mettere il filo spinato intorno a quel bosco per evitare che chiunque altro ci finisca dentro per sbaglio.
Quando ho visto per la prima volta Una donna promettente di Emerald Fennell, ho avuto l’impressione che qualcuno finalmente avesse capito. Ecco di cosa avevo bisogno: di una Cassie per la mia Nina. Per chi non avesse visto il film, riassumo brevemente. Puoi saltare il prossimo paragrafo se conosci già la storia.
ATTENZIONE SPOILER SU UNA DONNA PROMETTENTE
Cassie è una giovane donna “promettente”, ex brillante studentessa di medicina che ha improvvisamente lasciato gli studi e si è ritirata in una vita che la sminuisce. Vive ancora con i genitori (cosa che a 30 anni, soprattutto negli USA, è più o meno intollerabile), lavora come cameriera in un caffè e una volta a settimana, durante la notte sparisce misteriosamente fino a tardi. Cosa fa, quando scende la sera? Finge di essere ubriaca, estremamente ubriaca, al limite dello svenimento, fino a che un “bravo ragazzo” decide di andare a vedere se sta bene. E ogni volta, il “bravo ragazzo” la porta a casa e prova a portarla a letto nonostante sia evidentemente incapace di dare il suo consenso. Oppure, se lei dice no, finge di non averla sentita. La sua è una vita notturna da vigilante, che apre gli occhi (e chissà se funziona) a uomini colpevoli ed evidentemente complici della cultura dello stupro. Lo fa perché la sua migliore amica, Nina, si è suicidata proprio dopo aver subito uno stupro all’università. Ecco perché entrambe, ragazze promettenti, si sono ritirate dal college. E quando finalmente ritrova, dopo anni, il ragazzo che aveva stuprato Nina, lo scopre medico luminare, apprezzato in tutti gli ambienti e in procinto di sposarsi. Finirà per castigare anche lui, ma lo farà a costo della propria vita.
Ecco cosa mi serve, ho pensato. Un eroe, un’eroina, qualcuno che sfoderi la spada per difendere il mio onore bambino, che castighi il predatore della mia infanzia. Così ne ho parlato con alcune persone, giusto un paio di cui mi fido ciecamente. E ho aspettato. Ho aspettato e aspettato e mi sono arrabbiata nell’attesa. Perché non prendete in mano gli strumenti della tortura? Perché non bruciate la sua casa? Perché non lo mettete in ginocchio a implorare pietà per i suoi peccati, davanti a me, davanti a Dio, davanti alla legge? Perché?
Io non posso. Guardatemi. Sono ancora quella bambina di 8 anni, non lo capite? Davanti a lui sono quella bambina di 8 anni, disgustata e spaventata, che detesta sé stessa e che non riesce a mettere fine a tutto questo. Ma come posso esserlo? Mi proclamo una femminista. Difendo le vittime fino a prova contraria, dico loro che devono denunciare, cercare giustizia, desiderare la vendetta. E poi sono la prima a non farlo. Non ci riesco. E non ci riuscite neanche voi, che sapete e state zitti, che sapete e non avete alzato una palizzata, una rete elettrica, un muro attorno a quel bosco, che non vi ci siete infilati dentro con i fucili per stanarlo.
Un paio di giorni fa, quando è arrivato su Netflix (e per questo sui media e sui social italiani si è tornati a parlarne), ho rivisto Una donna promettente. Sono stata di nuovo male, perché è un film molto triggerante e far male è il suo obiettivo. Ma soprattutto ho capito una cosa. Non voglio che i miei cari diventino Cassie. Non voglio consumarmi nella sete di vendetta e non voglio che lo faccia nessun altro in nome mio. Come potrei essere così egoista da chiederlo? Come ho potuto pretenderlo? Come ho fatto a non capire che, come io per prima ho reagito alla violenza come ho potuto per sopravvivere, anche loro hanno reagito come hanno potuto al mio racconto, per sopravvivere?
Continuerò a credere alle vittime molto prima che ai carnefici, continuerò a sperare che la giustizia protegga chi denuncia, continuerò a sensibilizzare chi mi legge sul credere, ascoltare, non giudicare. Ma smetterò di giudicare a mia volta. Lascio andare la pretesa che qualcuno reagisca alla violenza in un modo o in un altro.
Oggi “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene?” [cit.]
Perdono per non essere stata la vittima coraggiosa e indomita che avrei voluto essere. Perdono per essere scappata. Perdono per non aver colpito la vita, le relazioni, il lavoro di quell’essere schifoso. Perdono per aver preteso che lo facessero altri al mio posto. Perdono per aver dato colpe di quello che è successo a chiunque non fosse lui. E oggi ti chiedo di perdonarti. Se hai denunciato, se non hai denunciato, se non lo hai mai raccontato a nessuno, se lo hai raccontato a qualcuno che ti ha creduto ma non ha fatto nulla, se lo hai raccontato a chi non ti ha creduto, se sei scappata, se sei rimasta, se non hai potuto fare altro, se hai accolto il racconto di qualcuno e hai pensato a salvare la tua pelle prima della sua, se hai provato ad aiutare e non ci sei riuscita, se non hai provato a fare nulla, se sei rimasta impietrita, se hai messo tutta la distanza che potevi tra te e lui. Perdonati.
In nessuno di questi è mai stata, e mai sarà, colpa tua. La colpa è solo del lupo.