TW: sangue (beh), apparato riproduttivo, dolore cronico
Qual è il mio lavoro a tempo pieno, mi chiedi? Il mio corpo è il mio lavoro a tempo pieno. La mia malattia (le mie malattie) sono il mio lavoro a tempo pieno. Quello dal quale non posso prendere ferie né chiedere che un’attività venga spostata di mezz’ora per motivi personali. Così è per tutti, forse, ma soprattutto per chi ha una o più malattie croniche. Ne ha parlato anche @disattentamente in questo post sul burnout da visite mediche, proprio quello che ho provato in questo intensissimo mese.
Non si tratta solo di prenotare le visite e poi andare. Ogni professionista del settore sanitario che incontro, se non lo conosco già, è un’altra persona a cui raccontare nei minimi dettagli tutto quello che il mio corpo fa e non fa, quello che prova e quello che non prova e soprattutto tutto quello che non funziona. Se invece conosco il dottore o la dottoressa, è molto probabile che mi dirà che sono stata brava. Succede spesso, ultimamente. Sei stata brava a seguire tutte le terapie. Sei stata brava a fare gli esercizi ogni giorno. Sei stata brava a cercare aiuto nella psicoterapia e nella mindfulness. Però. C’è sempre quel però alla fine, che significa che sono brava, ma non abbastanza. D’altra parte, sarò anche brava ma le mie malattie restano e con loro tutti i loro sintomi. Non solo: ogni tanto ne viene fuori una nuova.
Stavolta è successo dal ginecologo. Un tipo simpatico e soprattutto molto, molto in gamba, che è stato capace di risolvere molti dei miei problemi. Però. Mica tutti. E nel frattempo ne ha scoperti di nuovi. Con una battuta, indicando un’immagine della mia ecografia mi ha detto: “Questa è adenomiosi. Lo vedi l’utero, lo vedi com’è bruttino, Giovà? Questo è uno stronzo, ci darà problemi ma tu non ti preoccupare”. Colloquiale, familiare, amico. Siamo insieme in questa battaglia, questo è uno stronzo ma lo affrontiamo. Non ti preoccupare. Come se davvero potessi non preoccuparmi di questa cosa che si trova dentro il mio corpo.
Da quel giorno lo vedo ovunque, il mio utero informe e bruttino, pieno di cose che non dovrebbero starci dentro. Non lo vedo nell’immagine grigia e sfocata dell’ecografia, no, sarebbe troppo semplice. Lo vedo dietro le palpebre quando chiudo gli occhi. Lo vedo sanguinante e schifoso, bruttino è un eufemismo. Così carico di fibromi da non avere spazio per altro, così orrendamente deformato da farmi venire il voltastomaco. E mi viene. Mi viene da vomitare quando lo vedo, ma non riesco a smettere di pensarci. Quella cosa orribile, inutile, che non sta facendo il suo lavoro ma sta facendo danni, compare nei miei sogni e nelle mie ricerche su Google. E più lo cerco più mi viene la nausea, e più mi sento disgustata più lo cerco.
Lo sento, anche. Fin da quando ero piccola, ho sempre avuto un rapporto strano con le mie viscere. Ne ero terrorizzata e schifosamente affascinata come adesso. La notte prima che mi arrivasse il ciclo sentivo l’addome gonfiare a dismisura (adesso lo so, era l’adenomiosi). Sognavo di partorire esseri deformi e di esplodere intorno alla pressione di quell’organo così bruttino, allora non lo avevo mai visto ma in qualche modo lo conoscevo già. Mi faceva ribrezzo e paura. Cercavo storie vere di donne che avevano subito operazioni, aborti, isterectomie. Leggevo i dettagli più raccapriccianti con un’ansia febbrile, volevo sapere tutto di lui e di ogni sua schifosissima cellula. E intanto lo sentivo, era dentro di me e al contrario di tutti gli altri organi sapevo che era lì. Non solo perché mi faceva male (di nuovo, l’adenomiosi) ma soprattutto perché sapevo quante cose orribili potessero annidarsi lì dentro che con il miracolo della vita non avevano niente a che fare.
Mi è capitato di ripensare a lui in questi giorni, dopo quella visita ginecologica. Di ritornare con la mente alla visione delle mie compagne di classe in pantaloni bianchi aderenti, senza paura di macchiarli con la vergogna del sangue che mi perseguitava. Mi è capitato anche di tornare nel vortice delle ricerche online, delle storie vere e sanguinolente, del senso di vomito che mi procurano, degli incubi e dell’impossibilità di smettere. Perché lui è lì. Dentro di me. Lo sento costruire, cellula dopo cellula, quei tessuti che non dovrebbero esserci, eppure ci sono. Lo sento tramare contro di me, proprio lui che di me fa parte. Proprio lui che in un certo senso… è me.
Me lo sono chiesto tante volte. Io sono il mio corpo, il mio corpo è me, qual è il legame? Sono quel corpo difettoso, sono gli organi mollicci e sanguinolenti che mi tengono sveglia la notte? Purtroppo sì, innegabilmente, io sono anche il mio corpo e sono anche difettosa. Non conforme. Non funzionante. Se fossi una macchina, andrebbe fatto come minimo un ripristino del sistema. Non basterebbe neanche quello. Vorrei cancellarlo, il sistema. Svegliarmi vuota, come i modellini di Esplorando il corpo umano quando arrivavano, liscissimi e trasparenti, prima che i nuovi numeri in edicola portassero con sé organi e sistemi. Ma non sono un modellino, sono una persona. E quindi niente, rimango così come sono. Brava, bravissima, per carità, ma comunque non funzionante. È in questi momenti che dimentico tutte le altre cose che sono. Devo fare uno sforzo cognitivo enorme per smettere di concentrare i pensieri al centro dell’addome e spostare lo sguardo su tutto il resto che è la persona che chiamo Giovanna.
Donna. Moglie. Figlia, sorella, nuora, cognata, nipote, amica. Scrittrice di cose che a volte fanno un po’ schifo. Vicina di casa con una passione probabilmente fastidiosa per il karaoke. Proprietaria di una discreta collezione di pupazzi. Creatura del caos che non ricorderà mai dove si trova il bottone che scucito della camicia, giuro l’avevo conservato da qualche parte, ma dove?. Passeggera volubile di mezzi di trasporto che si rifiuta di guidare. Mangiatrice di patatine fritte in quantità industriale. Opinionista non accreditata per Uomini e Donne. Osservatrice attenta del gossip internazionale. Analista di commenti social altrui. Dispensatrice di threads esilaranti a tema Bridgerton. Studentessa universitaria in crisi davanti alla pagina bianca della tesi. Appassionata di serie tv e fantasy. Innamorata di mio marito, ma pure di un sacco di personaggi letterari. Accumulatrice compulsiva di saggi filosofici e romanzetti da appendice. Ricercatrice di cose luccicanti della vita. E nonostante tutto, viva in questo corpo.
So che può essere stato faticoso arrivare alla fine di questo pezzo. Se ci sei, ti ringrazio. Se vuoi esserci ancora, ti invito a iscriverti alla mia newsletter. Una volta al mese, arriverà un post direttamente nella tua casella email (solitamente non disgustoso come questo, ma non prometto nulla).
Sto davvero lavorando alla mia tesi magistrale. Studio la relazione tra malattie croniche come le mie e community online come quelle in cui ho trovato riparo. Se vuoi dare una mano alla mia ricerca
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In questo pazzissimo mese ho anche lavorato alla ristrutturazione completa del mio sito. Sbirilla ha una veste nuova e nuovi servizi, ma sono sempre io. Non temere. Anzi, se qualcosa non ti piace scrivimi! Eccola qui:
Come spesso mi succede, ho provato a rimuovere i pensieri dal mio corpo nel modo più efficace possibile: leggendo libri per piacere, per lavoro e per studio. Questi sono quelli che ho consumato a maggio, insieme a sacchetti di patatine formato famiglia.
Vita dopo vita di Kate Atkinson ⭐️⭐️⭐️⭐️⭐️
Mom Babble. The messy truth about motherhood di Mary Katherine Backstrom ⭐️⭐️⭐️
Juliet, naked di Nick Hornby ⭐️⭐️⭐️⭐️
Saint X di Alexis Schaitkin ⭐️⭐️⭐️⭐️
Ho anche passato moltissimo tempo davanti agli schermi della tv, del pc e del mio iPad, guardando:
Elvis di Baz Luhrman, finalmente.
House of the dragon stagione 1, che ha ispirato il titolo e l’argomento di questo post anche grazie a tutte le disgustose scene di parto in essa contenute.
Il corso sulle discriminazioni intersezionali di
da cui sto imparando tantissimo.L’Eurovision Song Contest che per me è tipo la notte di Natale.
La prima parte di Bridgerton stagione 3, che ho commentato ampiamente su Threads.
Wish di Chris Buck e Fawn Veerasunthorn, primo film animato della mia vita di cui non ho capito assolutamente niente.
Sbirilla esiste solo grazie alla mia testaccia dura e al supporto di chi mi legge. Se hai trovato qualcosa di interessante qui, condividi il post.
Un’ultimissima cosa: il 25 settembre 2022 non ho potuto votare perché non mi trovavo nella mia città di residenza. Innumerevoli volte, da allora, mi sono chiesta se fosse stato proprio il mio non-voto a provocare il disastro che vedo intorno a me. Non posso darmi una risposta, ma so che non voglio chiedermelo più: andiamo a votare alle Europee e votiamo con coscienza!